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Torino: Movimento studentesco del '68

Il 27 novembre 1967, nella sede delle facoltà umanistiche di Torino, iniziò un ciclo di occupazioni.
Tutto ha inizio in seguito ad una mobilitazione in segno di protesta, per un provvedimento di edilizia universitaria in discussione nel consiglio d’amministrazione dell’ateneo. Questo provvedimento fu proposto dal rettore Mario Allara, nel quale si prevedeva l’acquisto di un’area periferica con lo scopo di realizzare un ampliamento delle sedi universitarie, per far fronte al continuo aumento delle immatricolazioni, alla quale anche l’ateneo piemontese era sottoposto. Il progetto consisteva nell’acquisto de La Mandria, e incontrò l’opposizione degli studenti.
Gli universitari sostenevano che lo scorporamento delle facoltà e la conseguente delocalizzazione avrebbe privato gli studenti di vantaggi culturali e politici che poteva essere garantito solo dal contatto con il centro storico della città. Il 27 novembre 1967, gli studenti torinesi si riunirono in un’assemblea e proclamarono l'occupazione di Palazzo Campana. Nell’assemblea vennero contestati i metodi didattici dell'insegnamento accademico.
In quel freddo giorno di novembre si verificò qualcosa di radicalmente nuovo. Cominciava il Sessantotto. All’occupazione parteciparono anche i cattolici e i liberali, senza rinunciare per questo alla loro identità politica. Questa trasversalità e questa mescolanza sono stati i grandi caratteri del movimento sessantottino.
Palazzo Campana nasce come contestazione anti-accademica, che prende di mira l’autoritarismo dei professori e mette in discussione la struttura didattica, i contenuti dell’insegnamento e i criteri degli esami, come affermava il documento approvato dalle assemblee di facoltà e inviato per posta a tutti i docenti di Lettere e Filosofia, Scienze politiche, Magistero e Giurisprudenza. L’occupazione durò fino al 27 dicembre, quando ci fu il primo sgombero. Gli studenti si erano attrezzati con brandine, avevano un ciclostile che funzionò ininterrottamente.
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Dopo il primo sgombero ci furono altre occupazioni. Spesso duri gli scontri con i professori: vedere il rettore Mario Allara, che teneva in pugno l’ateneo da vent’anni, salire lo scalone fra due file di studenti bianco come un lenzuolo dava il segno della lotta. Numerose le denunce. “C’era il piacere della dimensione collettiva – ricorda Marconi –. Il piacere di vivere dentro l’università: mangiare, dormire, ciclostilare i manifesti, parlare coi giornalisti, seguire i contro-corsi, suonare la chitarra.
Questa quotidianità era il luogo di formazione del movimento, molto di più delle rituali assemblee con nove centimetri di spazio a testa. Come in tutti i movimenti di massa c’era gente che non faceva nulla, ma ciò che contava era lo stare lì.
C’era anche una serie di persone che muovevano da una condizione di infelicità individuale, per cui il collettivo significava un riscatto”.


1968 un'unica forza:studenti insieme agli operai...


Il 1968 fu l’anno in cui il movimento degli studenti e quello operaio trovarono i punti d’incontro che permisero loro di diventare forza politica.
Il 7 marzo 1968 per la prima volta le due forze agirono insieme in piazza. Dopo lo sgombero del 1° marzo, complice il clima che nel frattempo si era venuto a creare sul piano nazionale, anche la contestazione degli studenti torinesi è costretta a fare i conti con autorità diverse da quella accademica. Allo sgombero segue infatti l'emissione, da parte della procura torinese, dei primi mandati di cattura per alcuni dei principali leader studenteschi del movimento di Palazzo Campana.
I mandati di cattura sono 13 e vengono emessi dalla Procura della Repubblica sabato 2 marzo: il primo viene eseguito nella stessa serata nei confronti di Federico Avanzini, 24 anni, studente di Giurisprudenza. Gli altri 12 si rendono latitanti.
Dalle indagini svolte dalle autorità sembra che la latitanza fosse stata decisa di comune accordo tra i ricercati. Nel corso della perquisizione eseguita nell’abitazione di una delle persone da arrestare, è stato rinvenuto un biglietto del seguente tenore: “C’è pericolo di parecchi arresti qui a Torino. Probabilmente 13 – non si sa ancora chi sono. Dobbiamo sparire per qualche giorno per poter eventualmente decidere una linea di difesa comune prima di …. Se non sai dove andare, vai allo PSIUP, chiedendo di Rino Maina che ti spiegherà la situazione. Non ti do altre indicazioni perché è pericoloso. Arrivederci, Wilma.”
A Torino gli studenti delle università in agitazione si ritrovano il 7 marzo alle 14 in un'assemblea al Politecnico, per poi partire in corteo. Dopo circa due ore davanti al Politecnico ci sono già più di cinquemila persone, studenti universitari di tutte le facoltà, studenti medi, ma anche lavoratori che hanno aderito allo sciopero sindacale. Piove, ma il corteo finalmente parte, le prime file sono composte completamente da studentesse universitarie: una volta raggiunto Corso Vittorio, e la struttura carceraria Le Nuove, i manifestanti si siedono a terra, e richiedono a gran voce la liberazione di Avanzini, studente arrestato alcuni giorni prima per l'occupazione dell'università.
Il corteo prosegue poi per tutto il centro della città, fino a raggiungere Piazza Castello: gli studenti hanno intenzione di riprendere l'occupazione della sede universitaria di Palazzo Campana. Migliaia di persone superano correndo i mezzi delle forze dell'ordine e si dirigono verso Via Principe Amedeo.Qui scoppiano i primi scontri, i carabinieri a presidio della facoltà caricano gli studenti, che rispondono con un fitto lancio di uova, monete, bottigliette, e che poi fanno un rapido dietro front, per concentrarsi nuovamente in Piazza Castello.
Il corteo si dirige verso la sede della testata giornalistica La Stampa in via Roma, per occuparla, ma continuano violentissime le cariche di carabinieri e polizia, decisi a disperdere il corteo: proseguono gli scontri con gli studenti, due vetrate della "Busiarda" (La Stampa) sono divelte.
La situazione in centro città si normalizzerà solo a serata inoltrata, quando tra le forze dell'ordine si cominceranno a contare i feriti: sedici tra le file della polizia, tra cui due vicequestori, e otto tra i carabinieri.
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