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La Fuga dei cervelli


Quella chiamata “fuga dei cervelli” o “brain drain” rappresenta la forma moderna e prevalente di emigrazione dal nostro paese.
E’ un fenomeno sempre più sviluppato, consistente nell’emigrazione verso paesi stranieri di professionisti, persone altamente specializzate e con un livello culturale elevato, generalmente in seguito all’offerta di condizioni migliori di paga o di vita. I maggiori protagonisti di questa migrazione sono giovani neo-laureati e neo-dottorati che vanno a lavorare in università e centri di ricerca esteri.

In sé potrebbe anche non essere un fenomeno negativo, purché il saldo tra gli studiosi che lasciano il paese e quelli che vi fanno ritorno non sia in difetto. In Italia purtroppo non siamo nè in presenza di uno scambio di cervelli (brain exchange) nè tantomeno di una circolazione di cervelli (brain circulation).
immagine proveniente da: https://www.lamescolanza.com/28/02/2016/31532/
Il fenomeno che invece si manifesta sistematicamente nel nostro paese è una vera e propria fuga, le cui proporzioni si stanno aggravando anno dopo anno fino a divenire una vera e propria perdita di intere generazioni di giovani ricercatori e studiosi.

Questo nuova forma di emigrazione è causata soprattutto dal fatto che nel nostro paese la ricerca sia mal gestita e sottofinanziata, tanto che tale fuga di cervelli viene vista come il principale sintomo del male che affligge il sistema della ricerca del paese, intesa non solo come ricerca scientifica in generale ma anche come capacità di innovazione.
I giovani ricercatori trovano più facilmente un’occupazione nei centri e nelle università straniere dove, per di più, sono maggiormente tutelati e remunerati e dove hanno più prospettive di crescita professionale ed inserimento nel mondo del lavoro.

Non bisogna dimenticare che la fuga dei cervelli ha anche un costo, vale a dire la spesa sostenuta per fornire l’istruzione a uno studente italiano che poi emigra all’estero. A pronunciarsi sul tema è l’ex-ministro dell’istruzione Lorenzo Fioramonti in occasione del “Patto per la ricerca”, un evento tenutosi nel 2019 presso la Camera dei Deputati. Secondo quanto affermato dal ministro, «ogni volta che un laureato se ne va dall’Italia, è un assegno di 250.000 euro che noi andiamo a versare sul conto di un Paese che poi ci farà competizione sui mercati internazionali, spesso con le idee sviluppate da italiani che abbiamo formato con i nostri soldi».

I dati Istat confermano quanto detto, in quanto la diminuzione della percentuale di laureati potrebbe incidere molto negativamente sulle dinamiche lavorative del futuro.
Secondo gli studi condotti dall’OCSE e dalla Fondazione Migrantes, oggi, diversamente da quanto accaduto in passato, sono soprattutto i giovani studenti ad abbandonare il nostro paese.

Dai dati raccolti si è calcolato che negli anni tra il 1996 e il 1999 i laureati che hanno lasciato il nostro Paese sono stati 12.000. Tra il 2008 e il 2017 sono emigrati 208 mila giovani italiani, di cui 139 mila con un livello di istruzione medio–alto. Nel 2018 le anagrafi estere hanno stimato che i giovani che hanno deciso di abbandonare l’Italia sono stati almeno 60 mila. In circa un ventennio quindi i numeri sono aumentati del 400%: dati allarmanti, che mettono in luce ancora una volta la perdita di risorse umane del paese. Le mete principali sono paesi come Inghilterra, Germania, Svizzera e Stati Uniti.

Concludendo, quello che spinge i giovani a lasciare l’Italia non è la ricerca di un lavoro qualsiasi, ma bensì un'occupazione degna, con un guadagno, delle prospettive lavorative e delle responsabilità in linea con l’investimento compiuto dalle famiglie per l’educazione dei propri figli.

La fuga dei cervelli in tempi di Covid


L’epidemia da Covid-19 ha indotto una parte consistente dei giovani emigrati all’estero per motivi di studio e di lavoro a prendere in considerazione un ritorno “a casa”.
Gli studenti si riorganizzano in vista dell'opportunità di seguire lezioni online, mentre chi all’estero aveva trovato lavoro ora ripensa alla scelta fatta.

cervelli in fuga di ritorno alle proprie case

Una ricerca condotta dal Centro Studi Pwc ed eseguita nel pieno dell lock-down (grazie alla piattaforma Linkedin), aveva l’obiettivo di comprendere come la pandemia avesse influenzato gli stili di vita, i percorsi professionali e le aspettative dei talenti italiani. Le conclusioni a cui giunge è che 1 giovane su 5 pensa di tornare in Italia mentre 1 su 4,3 sta per tornare nelle regioni del Sud. Dai dati emerge chiaramente che per la maggior parte dei giovani all’estero la pandemia ha costituito la ragione per la quale molti hanno iniziato a pensare a un ri torno a casa. Prima della primavera 2020 – recita lo studio di Pwc – si pensava di ritornare nelle città di origine solo avendo la certezza di poter migliorare retribuzione e livello di carriera.

Fonti

> Tesionline.it
> Pagellapolitica.it
> EspressoRepubblica.it